mercoledì 1 dicembre 2010

1968


Eppure all'inizio non diedero loro alcuna importanza. Erano bambini viziati, andavano puniti per insegnare loro l'educazione, dovevano imparare a non chiedere più di ciò che gli era imposto. C'era il "battaglione Padova della Celere" a sculacciare gli studenti insorti nel 1966 e c'era ancora nel 1968, quando in primavera tutti gli atenei italiani, meno che la Bocconi, erano stati occupati. Nonostante tutto. Nonostante le botte, gli insulti e gli arresti.
L'esplosione delle rivolte in quegli anni si fondano sullo stesso malessere che ha preparato il periodo che stiamo vivendo noi, nel 2010, a quasi 50 anni da allora. Corsi e ricorsi storici.
Gli anni sessanta, quelli del boom economico avevano portato benessere ad una classe medio-alta e lasciato sprofondare nella propria miseria le classi basse. Stipendi bassi, diritti inesistenti per la classe operaia e totale disinteresse verso i bisogni dei meno abbienti. E poi l'istruzione, non accessibile a giovani di reddito basso e di contenuti arretrati e parziali. Il movimento operaio e quello studentesco, il presente ed il futuro dell'Italia si fermarono per dimostrare chi aveva il coltello dalla parte del manico.
50 anni e siamo ancora lì. Con gli operai buttati per strada con stratagemmi legislativi macchinosi, l'istruzione e la ricerca ridotti allo stremo, l'economia che tentenna ma sembra cadere, sulle spalle di una classe medio-bassa sempre più grande e in sempre maggiori difficoltà.
E ai giovani in strada non si da peso. Non si da peso ai rettori e ai professori delle Università. C'è ancora troppa gente che storce il naso, che si rassegna. Siamo un popolo che ha paura di esporsi, ha paura delle consequenze. Siamo un popolo comodo, molti attenderanno che la situazione si faccia critica per muoversi o resteranno comunque dietro, a guardare. Pronti a negare tre volte prima che il gallo canti.

Nessun commento:

Posta un commento