lunedì 29 novembre 2010

ESSERE ITALIANO

Ho 22 anni e vivo in un Paese senza speranze e questo dovrebbe farmi paura. Ma quello che più mi fa paura è un leggero senso di rassegnazione, mi sono rassegnata a non riuscire più a lottare, la più grande sconfitta di un popolo e soprattutto di un giovane.

Sono nata in un Paese che sognava "Il Paese che cambia", una cosa stupenda, credetemi. Mi è stato insegnato molto più nei miei primi dieci anni di vita giocando, di quanto abbia imparato sgobbando sui libri finora, ma mi era stato detto che imparare mi avrebbe reso forte. La conoscenza rende liberi. Allora perchè mi sento in catene? Perchè ora che sono alla fine di questo lungo viaggio di studio, quel futuro che mi sono costruita anno dopo anno sembra ancora più lontano? Ma soprattutto, perchè il passato, quello del quale ho letto sui libri e mi faceva inorridire, mi sembra così reale e vicino?

Il Paese è cambiato davvero, ma non in quello che speravamo, mai più lontano che in questo momento è stato quell'ideale di Paese aperto, solidale, giusto e libero. Ho scoperto ora che la Pace non è solo antitesi della guerra, quella fatta con le armi, perchè questa non è Pace, neanche nella mente più ottimista. Lottare ogni giorno per dei diritti che ci spettano per definizione naturale non è Pace e non è vita. Non è Stato quello che non garantisce un istruzione pubblica per chi paga le tasse, che non garantisce giustizia al più debole, libertà di espressione, di credo religioso e di scelta di vita. Non è uno Stato quello che permette manifestazioni divisioniste e razziste, violenza contro la libertà di espressione e manifestazione di ideali giusti e pacifici. Questo no, neanche ha l'apparenza di uno Stato.

Sono nata in un Paese che amavo follemente, che non immaginavo mai di lasciare, neanche con la forza. E allora perchè voglio scappare e non tornare più? Eppure non mi sto disinteressando di ciò che accade, non ho perso completamente quell'amore per la mia Nazione, sento ancora una grande vergogna quando sento il giudizio che il mondo ha del mio Paese. Mi sento ferita nell'orgoglio ad essere derisa, perchè faccio ancora parte di questo popolo e non sarà una distanza geografica a cancellarlo.

Capisco che non è neanche la rassegnazione a definire il mio stato d'animo, di certo c'è grande vergogna, rabbia e paura. La mia è paura che anni di storia e cultura che definiscono il mio Paese non riusciranno a salvarlo, non quando il suo popolo si sta rassegnando ad una classe politica inetta, al facile guadagno e alla bella vita per pochi sulle spalle dei tanti. Rassegnarsi ora significa lasciare soli gli studenti che stanno combattendo per quello che a loro spetta, per diritto, dalla nascita, gli operai che vengono buttati in strada in uno Stato che si fonda sul lavoro, e dove questo è dovere ma soprattutto diritto che nobilità il cittadino.

Mi sto prendendo in queste poche righe un mio diritto, quello di chiedere al mio popolo di non voltarsi dall'altra parte ma partecipare. Di non guardare con timore chi manifesta, perchè siamo un popolo, dall'immigrato che ha visto nel nostro Paese la speranza allo studente che sogna un futuro, all'industriale che da lavoro all'operaio che si offre per un lavoro. Il diritto di uno è diritto dell'altro. Ed è mio diritto non vergognarmi di essere italiana.